La cessione del quinto dello stipendio è un diritto del lavoratore dipendente sancito dalla legge. Il datore di lavoro non può opporvisi.
Con il 2005 la cessione del quinto è diventata uno strumento di credito utilizzabile anche dai lavoratori dipendenti di società private, ampliando, di fatto, il numero dei potenziali cedenti e, di riflesso, il numero dei datori di lavoro che si affacciano a questa pratica, per loro, esclusivamente burocratica.
Il datore di lavoro, denominato anche Amministrazione terza ceduta, ha un ruolo determinante nella cessione del quinto: a lui è demandato il pagamento delle del prestito effettuando la trattenuta alla fonte della quota dovuta. Colui che ha ceduto la quota riceverà lo stipendio, o il salario, al netto di quanto trattenuto per il pagamento della rata mensile.
Al contrario il datore non ha alcun ruolo nella concessione del prestito; infatti la concessione è legata esclusivamente alle valutazioni della finanziaria su caratteristiche del richiedente, quali l’entità dello stipendio, l’età e il sesso, e dell’azienda o amministrazione da cui egli dipende, in termini di solidità e quindi capacità di mantenere tale posto di lavoro e, di riflesso, pagare la rata dovuta. Il datore di lavoro, non entrando in alcun modo diretto nel processo di istruttoria del finanziamento, non può quindi opporsi utilizzando l’unico strumento che ha in mano: negando il rilascio del documento attestante la retribuzione, il certificato di stipendio o l’attestato di servizio. Questi documenti devono essere rilasciati e l’ente erogante il prestito non può prescindere da questi in quanto non possono essere sostituiti meramente dalla busta paga, contenendo altre informazioni fondamentali come, ad esempio, l’ammontare del TFR accantonato dal lavoratore.